lunedì 4 giugno 2012

Antonietta Zangardi, Poggio Imperiale Anno 1759, nuovi documenti sulle origini e sulla fondazione



Gli anni compresi nel nostro studio vanno dal 1751, acquisto del feudo di Lesina, al 1765, anno in cui, dopo la carestia, vi era un rilancio economico di Poggio Imperiale, colonia agricola fondata nel 1759.
Obiettivo prioritario del nostro lavoro è stato quello di individuare la data di fondazione di Poggio Imperiale, partendo dalle origini quindi dall’acquisto del feudo di Lesina nel 1751.
Ci siamo chiesti come poteva essere il contesto storico e come fosse stato il territorio in quell’anno:
* a Napoli, Carlo III di Borbone e il suo riformismo illuminato;
* a Foggia la ripresa economica e il fervore di ricostruzione nelle attività dopo il terremoto del 1731.
Il territorio era quello descritto nella splendida relazione che fece il tavolario Donato Gallarano, il 4 ottobre 1730 ed allegata alla stipula dell’atto con cui il Ceto dei Creditori dell’A.G.P. cedevano il feudo di Lesina al principe Placido Imperiale, dopo l’asta.
Siamo quindi passati alla presentazione del personaggio – chiave del nostro lavoro: il principe Placido Imperiale, la sua formazione umana e culturale, il suo spirito pragmatico che voleva mettere in atto ciò che a Napoli era in teoria cioè la formazione di una colonia agricola che rispecchiasse i canoni e le teorie economiche proprie dell’illuminismo. Non avevamo, però, intenti agiografici a priori, ma nella lettura dei documenti abbiamo individuato quegli interventi e quelle azioni in cui si poteva riconoscere “ il principe illuminato”, paternalistico e benefattore del suo popolo e nello stesso tempo siamo andati alla ricerca del “feudatario” intento ai profitti e allo sfruttamento del territorio.
Abbiamo rinvenuto una miniera di documenti, non tutti pubblicati in questo libro, ricchi di notizie sia sul secolo che stavamo studiando, che sui protagonisti del nostro lavoro: lettere di supplica per ottenere dei diritti, commissioni di infrastrutture quali il pozzo con i mastri pozzari di San Severo, quattrocento aratri al mastro d’ascia di San Marco, la calce al calcarolo di Scanzano, la richiesta agli scarpentieri di Apricena di foderare con pietre il pozzo, tre maestranze di mastri fabricatori cioè i Romito, famosi ed esperti costruttori di Foggia, per la costruzione di Chiesa e caselle, Stefano Grasso di Torremaggiore per caselle e panetteria, i fratelli Santagata di S. Paolo per altre caselle. Un fermento e un’aria di rinnovamento frenetico nella Valle di S. Severo, là dove prima vi erano i quadroni macchiosi ed arborati, poi la grossa masseria di campo, quindi la nuova Terra di poggio Imperiali, come leggiamo nei documenti.
Dopo la presentazione del Principe, il territorio veniva descritto, in modo particolare dal notaio Giuseppe Nicola Ricci in un atto del 1751, che riportava la presa di possesso del feudo da parte del governatore generale inviato del Principe.
Eppure la cronologia nel nostro lavoro poteva entrare fino ad un certo punto, perché quando ci siamo chiesti se il Principe fosse stato un tiranno o un benefattore, abbiamo dovuto presentare
tutti i protagonisti della piramide feudale formata da pochi patrizi, agenti feudali, notai, governatori generali ( i documenti ci presentano le nomine di quattro governatori dal 1751 al 1765, anni della nostra ricerca, aventi facoltà di amministrare la giustizia col potere di vita e di morte sui sudditi, “mero mixtoque imperio et potestate gladii” ). Alla base della piramide la massa di lavoratori che chiedevano lavoro ed elemosinavano diritti, una microstoria silenziosa, artefice della fondazione di Poggio Imperiale. Abbiamo reso protagonisti del nostro lavoro, assieme al Principe, anche tutte le maestranze, che, con le loro opere e la loro attività, hanno permesso la formazione della colonia agricola.
Nella selezione dei documenti abbiamo raggruppato quelli riferiti a Lesina: il lago era una risorsa del feudo ma il Principe non voleva una colonia di pescatori ma di contadini, ecco perché affittava il lago a pescatori di Manfredonia, la foce di Sant’Andrea a Conforti e Paciello di S. Nicandro, faceva costruire il muro per delimitare la caccia e proprio ai Romito di Foggia toccava realizzare quest’opera, concedeva però delle proroghe di pagamento a dei pescatori con debiti rimasti insoluti per l’affitto di paranze dal 1752 al 1759. Certamente non aveva gradito la richiesta – supplica al Re di Napoli scritta da alcuni patrizi di Lesina l’anno dopo dell’acquisto del feudo, per esimersi dal vassallaggio.
All’indomani dell’acquisto del feudo, gli affitti dei terreni erano concessi senza pretendere la tassa di terraggio per il primo anno, perché si doveva smacchiare e disboscare. Negli atti con gli albanesi, meteore dileguatesi nello spazio di pochi mesi, leggiamo un elenco di concessioni e gratuità. Invece negli affitti degli anni Sessanta del Diciottesimo secolo ritroviamo il feudatario che doveva trarre profitto dal suo feudo e quindi nei cosiddetti patti da osservarsi, presenti negli atti di affitto vediamo elencati tasse e balzelli feudali secondo i dettami della regia dogana di Foggia.
La maggior parte delle attività e delle decisioni del feudo erano prese da governatori ed agenti, procuratori in nome del Principe, per cui tante rivalità ed ingiustizie probabilmente nascevano in loco.
Non ci siamo fermati solo alla presentazione di nuovi documenti, in tutto settantadue, ma abbiamo cercato, alla luce di questi, di rileggere e commentare i documenti già noti: i patti che il Principe stipulò con gli albanesi, la quietatio e la partenza di quelli del secondo patto, il dileguarsi di tutta la colonia e la presenza sporadica di pochissimi rimasti.
Gli obiettivi del nostro lavoro sono stati pienamente raggiunti: Poggio Imperiale non fu fondata per o dagli albanesi del patto del 18 gennaio 1761, ma, come ci conferma anche la copia della relazione per la visita pastorale di mons. Giuseppe Maria Foschi, al loro arrivo vi era impiantato un nucleo di abitanti cosiddetti regnicoli, cioè italiani, già dal maggio del 1759.
Ergo, alla luce dei documenti selezionati e di quelli già conosciuti, nella nostra comunità si è festeggiato un fantasioso duecentocinquantesimo anniversario di fondazione.

Antonietta Zangardi

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